Recensioni
Confini d'Identità - Alessandra Arpino
vedi foto
La domanda è “chi siamo”.
Siamo esseri mutevoli, sempre diversi, pronti a formare nuovi legami, ogni volta differenti; siamo in divenire, dinamici e cangianti esattamente come gli elementi in ferro dell’installazione Confini d’identità con cui Marta Vezzoli intende descrivere l’uomo nelle sue mille sfaccettature, di pirandelliana memoria, ma estremamente contemporaneo. Ritorna Bergson nella ricerca dell’artista, già affrontato nella precedente personale ‘ Sguardo sul tempo ’(2013 Palazzolo, Brescia), ma questa volta il tempo è un tema latente, mentre è l’identità del bambino bergsoniano ad essere presa in esame. Identità come “processo che non smette di prodursi, che si esplica in ogni istante, come qualcosa di inaudito ed inedito, che si deposita progressivamente in forme sempre nuove ed imprevedibili”… [ Identità in divenire in Neurografie, Ferdydruke], legate indissolubilmente al contesto nel quale si inseriscono.
L’installazione della Vezzoli ha confini sempre diversi ed è perciò potenzialmente infinita; ad essa corrisponde il tempo dell’agire, ma la stessa opera è specularmente riflessiva, calma, introspettiva con i suoi fili, le sue garze ricamate e le sue scatole dai margini invece netti. Ogni materiale scelto è carico di significato, confermando l’ Informale come punto di partenza della sua ricerca. In particolare, nell’ opera Respiro , l’artista mette in luce le caratteristiche di due materiali forti come il ferro, materiale ancestrale, carico di storia (secondo gli antichi Greci derivato dai meteoriti caduti sulla Terra) e la garza, tessuto tra i più grezzi, che rappresenta la ferita e allo stesso tempo la cura. Contrasti materici e limiti indefiniti accomunano le opere dell’artista.
La luce gioca in Respiro , come in Confini d’Identità , un ruolo chiave: l’ombra, prodotta dalla luce stessa, disegna forme esili ed essenziali e le riporta alla fase progettuale del disegno, scardinando la tridimensionalità che contraddistingue la scultura e allo stesso tempo dandole forza. Il limite, o meglio il non-limite, è un concetto ormai caro all’artista, che diventa sempre più il comune denominatore dei suoi lavori ed in questo caso le ombre, ancor più della luce, sono lo strumento più efficace.
Confini labili come quelli dell’uomo contemporaneo che cambia contesto e scopre ogni volta una nuova identità.
La domanda è “chi siamo”. La risposta è “dipende da dove viviamo”.
Sguardo sul tempo - Chiara Seghezzi
Marta tesse fili come segni di un codice tutto personale.
Dotata di una particolare sensibilità, tipica degli artisti, Marta lavora sulla precarietà: le sue opere sono delicate, rischiano di rompersi, di rovinarsi, ma questo fa parte del gioco. Il messaggio che l’artista vuole trasmettere attraverso le sue creazioni rimanda alla precarietà e alla fragilità del nostro presente storico e della nostra società.
I lavori hanno spesso due facce: l’intervento di Marta è su entrambi i lati e questo è un aspetto interessante della sua produzione. Una costante è infatti la duplicità, due sono i lati della garza su cui lavora, due quindi i punti di vista, due le combinazioni degli elementi che generano due diverse soluzioni. Due storie, due tracce.
L’ultimo tema che sta affrontando è il tempo, quella dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi. Si tratta di un concetto di tempo che rimanda alle teorie di Sant’Agostino dove si intende il tempo come estensione dell’animo, riconducibile a una percezione del soggetto che, pur vivendo nel presente, ha coscienza del passato grazie alla memoria e del futuro in virtù dell’attesa.
Viene alla memoria il concetto bergsoniano di ‘tempo originario’, che la nostra coscienza conosce mediante intuizione e che è composto da istanti qualitativamente diversi da tutti gli altri. Tempo inteso come flusso che scorre, come essere e divenire, come passato e presente. Le opere sono concepite come frammenti, frangenti, attimi strappati dal flusso e tradotti in un linguaggio segnico, un alfabeto che comunica ad un livello diverso rispetto alla sfera della coscienza. Si tratta di tracce, di segni che racchiudono nella loro essenzialità il racconto interiore dell’artista, quasi una scrittura automatica, un codice in cui prendono forma lo scorrere delle emozioni, dei pensieri che giungono da soli in uno stato quasi meditativo col quale Marta realizza le sue opere e che traduce nell’azione del cucire. Un’azione ripetitiva, che richiede attenzione e precisione e allo stesso tempo grazia. Il cucire è un’operazione che impone lentezza, quindi un tempo che scorre e che viene registrato dal lavoro dell’artista. Rimanda all’attività femminile per eccellenza.
Il valore del limite è un altro aspetto della riflessione dell’artista. Il limite è un concetto che attraversa tutto l’esistere, dalla filosofia alla quotidianità. Il limite contiene una dualità, una distinzione tra ciò che sta dentro e qualcosa che lo oltrepassa, può avere valenza positiva o negativa in senso duplice: entro il limite si trova il noto, si ha la sicurezza, oltrepassarlo significa rompere le regole e sfidare l’ignoto che per definizione suscita timore in quanto non conosciuto e non misurabile. Ma allo stesso tempo il limite è costrizione entro una sfera limitata che mina la libertà di azione e pensiero. Marta infatti riflette su questa duplicità semantica. Il limite diviene per l’artista qualcosa che può essere superato, che stimola l’azione, quindi inteso nella sua valenza positiva di andare oltre. A livello tecnico tale aspetto lo si coglie anche nelle cornici che non bloccano le opere, caricate di significato divengono un sostegno dell’opera senza però costringerla in uno spazio limitato. Ecco perché talvolta le leggerissime garze risultano appesa solo per il lato superiore e tese da fili nei rimanenti lati.
La cornice, spesso di ferro diviene il mezzo attraverso il quale l’opera stessa si sostiene, e allo stesso tempo sembra fluttuare nello spazio. Lo studio dei sostegni è parte integrante del lavoro di Marta. Essi possono essere semplici steli di ferro molto sottili, tenute a terra da una base pesante che le mantiene in posizione; a loro volta, come una catena, esse mantengono le garze. Ancora una volta possiamo analizzare la dualità: non solo la cornice come non-limite, bensì come sostegno, ma allo stesso tempo si apre alla riflessione del contrasto tra il ferro materiale forte, resistente, rigido, pesante e la leggerezza, la fragilità, la precarietà delle garze che costituiscono le opere.
Osservando la superficie delle opere a livello compositivo si nota una maggior densità di interventi nella parte inferiore della superficie, i fili tessono e si intersecano in alcuni punti con maggior intensità, quasi a voler dare l’idea di pesantezza, di complessità , di caos che man mano si procede verso l’alto si sciolgono quasi a scomparire, dando così maggiore respiro alla garza bianca che funge da supporto. Non si tratta però di un vuoto – assenza: svanita la complessità tutto si risolve in un ordine superiore di calma e di pace. È la traduzione in arte di quella dimensione altra che se fossimo in un contesto religioso definiremmo spirituale.
Nonostante l’apparente differenza tra le due parti, l’opera è sottesa da un profondo equilibrio e compositivamente è bilanciata. Spesso le due sfere, quella ‘bassa’, più viscerale, grave e pesante e quella ‘alta’ più eterea e leggera, sono poste in contatto da propaggini che dall’aerea inferiore salgono, quasi fluttuando verso l’alto, sfidando la gravità e oltrepassando il limite. Secondo una lettura iconologica sono forse quelle intuizioni, quei momenti (ricollocandoci all’idea del tempo e dei suoi frammenti) nei quali ci si ricollega al flusso vitale che pone in connessione il tutto e dal quale possiamo attingere a livello inconscio.
“Mappe del tempo” è un’opera emblematica di molti dei concetti sin qui affrontati. Si tratta di una struttura in ferro, quindi solida e forte, circolare, che funge da sostegno alla garza leggera e fragile sulla quale l’artista interviene tessendo i segni attraverso una trama di fili. “Segno chiama segno”, così Marta racconta la sua scrittura sulla tela, e da qui nascono i suoi racconti. La dualità è tradotta con ancor più fermezza, nell’intervenire su entrambi i lati di questo disco di garza: due lati, come due racconti, come due punti di vista, come due combinazioni di eventi che nascono dagli stessi elementi. La dualità è la costante nei lavori di Marta. L’opera è completata da una garza che è collegata al disco attraverso i fili con i quali sono stati tracciati questi racconti, quasi come un’origine da cui si estendono i cordini ombelicali che vanno a comporsi in svariate possibilità sulle due facce del disco. Un’origine, una fonte da cui prende il via la creazione.
Osservando la superficie dell’opera si colgono frammenti di garze strappati, quasi lacerati che vogliono rappresentare quelle ferite mai rimarginate, l’artista interviene su di esse con il filo ma non le chiude completamente e il filo è talmente fragile che sembra rompersi ad ogni soffio di vento. La doppia lettura anche in questo caso: ferite ma forse anche evasioni, possibilità di lasciare un varco, un punto di fuga, il superamento del limite della superficie. Mentre realizza le Mappe del tempo Marta tesse le trame degli incontri, è una riflessione su quelle occasioni che creano possibili futuri nella vita di ciascuno di noi, sugli incontri e sui legami che si instaurano tra gli individui e che costituiscono il tessuto privato e per estensione collettivo.
Riflette sulla società in senso lato e sulle influenze che gli incontri – scontri di persone, culture e religioni hanno nel tessuto sociale entro cui siamo inseriti e che contribuiamo a creare e modificare. Si coglie in quest’opera un’ulteriore visione di insieme: la garza da cui ‘nascono’ i fili è leggera, eterea, emblema della dimensione più spirituale, la parte del disco, appesantita dal ferro che la sostiene ma la condanna maggiormente alla gravità, potrebbe essere interpretata come metafora della dimensione terrena.
Nelle sculture, lunghe strutture in ferro, quasi delle steli, degli idoli, che sono tenute a terra da massi di pietra, riscontriamo la medesima poetica. Si osservi la serie Hope, composta da 6 sculture caratterizzate da basi solide che mantengono l’opera eretta, permettendole la posizione verticale, slanciata verso l’altro, a cui si contrappone la scultura vera e propria, sottile elegante, quasi gracile, se non fosse per le proprietà fisiche del materiale scelto. Lo slancio verso l’alto, inteso in senso gotico di aspirazione al divino, si conclude in un gioco di forme che sembra tradurre nella terza dimensione ciò che sulla tela viene realizzato attraverso i fili.
Nella parte superiore, quasi come fosse la testa di questi arcaici idoli, la struttura si complica, i segni e le forme in ferro si moltiplicano e si diramano, rimanendo però sempre connesse e collegate da dei fili di ferro sottilissimi che l’artista lega come una rete. Li pone perciò in contatto attraverso dei legami sottili. Marta ci parla delle connessioni che pur invisibili permettono a persone lontane di essere vicine. Ci racconta una lontananza fisica, culturale, sociale e religiosa, ma ci dice che distanza non è vuoto, bensì è annullata dai sottili fili che permettono la connessione tra gli individui e le società. La complessità di queste opere è data non solo dal dialogo tra le varie parti che le compongono, ma anche dalle relazioni tra una scultura e l’altra, una moltiplicazione di connessioni che dà vita ad un esercito di idoli, trasmettendo quell’atmosfera metafisica che ricorda Le Muse inquietanti di De Chirico.
La riflessione sul tempo è il tema dell’opera Tempo sospeso, del XXX. L’artista immagina un terreno e i cretti che a causa dell’esicazione in esso si creano. L’esicazione è la testimonianza di un tempo che scorre, è ciò che ci permette la percezione stessa del tempo. Immagina che questi cretti si traducano in segni, segni che piano piano si sollevano acquisendo un’esistenza propria. Questi vengono tradotti nel linguaggio dell’artista da segni di ferro, quasi un alfabeto del tutto personale e fluttuando, sospesi in aria, danno vita all’istallazione. L’opera è composta da una struttura di ferro sospesa, sulla quale viene puntata la luce che ne proietta le forme sulla garza a terra.
Marta interviene cucendo l’ombra creata sulla garza bianca. Il risultato è una resa visiva di quei cretti bidimensionali da cui nasce l’idea: essi vengono ricollocati a terra, anche se in altra natura, trasformati in tracce e segni simili a sinapsi. Abbiamo qui un esempio di come le opere di Marta non siano solo opere da osservare, ma che interagiscono con l’ambiente che le circonda tanto che l’ambiente stesso diviene un aspetto importante nelle istallazioni. Questo lavoro si presta anche ad un’altra lettura: non solo traccia dei cretti, ma quasi mappa del cielo dove sono segnate le costellazioni, simile infatti alle mappe stellari. Quindi in profondità l’ulteriore duplicità: dalla terra al cielo.
Il fare artistico di Marta Vezzoli si caratterizza nell’uso di un’azione femminile quale il cucire che impone tempi di realizzazione lunghi, divenendo momenti di meditazione, di riflessione e di catarsi. Il tutto si traduce in opere segniche, fatte di tracce e trame la cui intensità varia a seconda delle emozioni e dei racconti. Se si conoscono i codici esse comunicano a più livelli all’osservatore.
Il dualismo è una costante nei suoi lavori: i concetti di vita e morte, derivanti forse anche dalla sua attività di arte terapeuta in contesti quali carceri e case di riposo; di terreno e metafisico; di vicino e lontano; di fragile e forte. I lavori di Marta nella loro eleganza, fragilità e precarietà trasmettono però tanta forza e resistenza; si tratta di una riflessione sul nostro tempo dove, caduti gli ideali e crollate le certezze economiche, ci si trova in balia di paure e di difficoltà, ma il messaggio ha un valore positivo: questa crisi e questa fragilità che coinvolge tutti non è limitante e non deve bloccare; sarà proprio questa fragilità che ci darà la forza di reagire e ristrutturare una potente energia che darà luogo a nuovo progresso e sviluppo, ricreando una condizione positiva dopo la crisi che ha spazzato via un sistema collassato e imploso.
Le concezioni della materia - Christian Iorio
Le concezioni della materia di Marta Vezzoli Oltre il limite della conoscenza la ricerca prende forma divincolandosi dalle convenzioni. La sperimentazione è l’unico imperativo che guida l’arte del fare nelle innumerevoli pieghe torte e ritorte dello spazio-tempo.
Talvolta in questi non-luoghi si colloca l’artista aprendo il proprio respiro agli esercizi dello spirito, talvolta è lo stesso artista a reinventare le categorie ex novo, abbandonandosi al più neutro ludus e lasciandosi affascinare dalla propria volontà. Nell’ostinazione che mira alla ricerca di un significato, la mano d’artista riscopre il necessario e connaturato bisogno del gesto. Nella pratica che innesca meccanismi di fusione tra visione creativa e intuizione, la poetica si fa largo come organismo vivo e indipendente, come spinta all’informazione.
Forma intesa come possibilità del colore e della materia, come apertura alle incidenze del probabile. Nella ricerca di una matericità espressiva Marta Vezzoli riversa nella creazione artistica una sedimentata reminescenza scultorea, tappeto sonoro della sua formazione, intermittenza pulsante che lascia l’idea della corporeità al passaggio.
Nelle opere ottenute con tecnica mista le cromie decise, comunicanti tra loro attraverso corrispondenze che ci appaiono empatiche pur raccontando territori intimi e oscuri, si sedimentano sui supporti in un gioco plastico tra oggetto della visione e nostre consapevolezze. Visioni prospettiche materiate da geometrie, fumosità dei contorni che comunicano un senso d’indeterminatezza, tentativi di superamento della propria dimensione convenzionale, traduzioni della precarietà dell’essere umano: colori e materie s’abbracciano mossi dalla convinzione che è davvero poco quanto è già stato detto. Il linguaggio di Marta Vezzoli comunica con un passato assorbito e metabolizzato, prova a rinascere come nuova creazione, ritorna alle potenzialità cromatiche così come la tendenza contemporanea insegna, reificando quell’andamento pittorico di “esplosione implosiva” profetizzato da Renato Barilli.
Nuova pittura, matura, più consapevole ma dannatamente condannata alla fruttuosa instabilità dal desiderio di smarrimento. Moti dell’interiorità, fotogrammi di rovine umane, distanze storiche, tentativi di appartenenza, umanità ai minimi termini, queste le impressioni alla base della composizione. Trame complesse di iuta che diventano scenario di una ripresentazione del vissuto, figurazioni in ferro e pietra che s’intersecano fino a sprofondare l’uno nell’altra, elevazioni metalliche e rispecchiamenti d’ombre, c’è una marcata idea della comunicazione che cerca continuità nell’arte della Vezzoli, una sorta di formula segnica che prova a spiegare le dinamiche dei meccanismi relazionali, una storia dell’uomo che si fa opera aperta. Al nostro sguardo indeterminata e aperta.
Il tempo dei Legàmi in Marta Vezzoli - Eleonora Ferrari
In questi giorni ho riflettuto sulla parola legami, cosa sono? Che cosa significano? Allora mi sono messa a cercare … Un legame è un qualcosa che collega, lega più cose o più persone insieme. “qualsiasi cosa con cui si lega o tiene legato. Sciogliersi, liberarsi dei legami. Il legame può essere d’amicizia, di parentela, di sangue. Legame stretto, intimo. Legame fra due o più fatti, legami di idee, legami delle parole. Per la chimica un legame è l’insieme delle forze che si stabiliscono tra atomi o gruppi di atomi, consentendone la riunione in aggregati non labili o comunque durevoli per un tempo sufficiente ad accertarne l’esistenza …” *
Marta nei suoi lavori affronta la tematica dei legami che si intrecciano, che si dissolvono e che allo stesso tempo sono in-dissolubili, indagando così in modo profondo le molteplici sfaccettature dell’animo umano. Riflette su quei legami che sono alla base della nostra stessa vita e che a volte vorremmo distruggere e spezzare ma che non possiamo, come afferma la stessa artista, “lasciare andar via” perché in qualche modo ci permettono di essere quello che siamo, fanno parte di noi. Nei suoi lavori Marta è incessantemente alla ricerca di sé ma anche dell’altro ed è in continua trasformazione.
C’è una forte stratificazione nei suoi lavori, segni visibili e anche tangibili di vari passaggi, di sentimenti ed emozioni tra loro contrastanti, di un percorso compiuto ma non finito che va man mano crescendo e modificandosi. Non c’è nessuna certezza nella strada che viene percorsa, ma attraverso il gesto, ora impulsivo, ora quieto e attraverso spazi ricchi e pieni alternati a parti più vuote e di respiro, c’è tutta l’esigenza, non precostituita, di raggiungere un’armonia non solo formale e visiva, ma che va al di là del visibile e ci conduce nella parte più profonda di noi stessi. E alla fine il risultato non è mai un arrivo definitivo ma una sosta e quasi più uno spunto per continuare il percorso e la ricerca: nessuna spiegazione quindi nessuna certezza solo vita da vivere e ogni volta questo punto di arrivo/sosta è una vera scoperta.
* Enciclopedia Treccani Online
Convivium di riflessioni sul senso dell'esistenza - Federico Buelli
Seguendo il libero cammino dell’arte d’oggi, Marta Vezzoli intraprende nella sua opera un movimento di segno contrario rispetto ai recenti trionfi dei mezzi elettronici.
Essa cavalca la contro-onda del recupero dei valori fisici e degli interventi di sapore manuale-artigiano, scultura e pittura.
Passaggi di manualità che sono il riflesso tecnico della sua capacità segnica.
L’indagine scultorea della Vezzoli, attraverso l’uso del tondino in ferro, rappresenta l’immagine smaterializza, abbandonata, ridotta all’osso, de-costruita, svuotata dalla sua funzione originaria. L’architettura, fisica e mentale, si deforma nello spazio recuperando stilemi geometrici, tagli, segni e volumi ridotti all’osso, verso l’essenza della forma. I tondi in ferro simulano ciò che resta dell’oggetto, la sua anima, il suo pensiero, e la loro sinuosa semplice geometria concede alla luce di riflettere forme e dimensioni, creando vuoti e pieni, essenze di vita, proiezioni di ombre.
Allo stesso modo questa semplice essenza delle linee in ferro, magre, smilze, derubate di macchinismo, la ritroviamo nei suoi dipinti e nelle sue tracce cucite. Dalla monocromia scultorea alla quale lascia che sia il riflesso dei tondi in ferro nello spazio a fare colore, alle geometrie pittoriche dal colore puro, materico, pastoso, oggettuale come l’uso di elementi in ferro o ancora l’utilizzo, più leggero, di fili di cotone applicati al supporto o cuciti nella tela e nello spazio circostante.
L’azione dipinta o cucita rivive gli stessi tagli, gli stessi disegni geometrici delle sculture e condivide con essa la poetica personale dell’artista.
Due linguaggi tecnici che camminano sullo stesso percorso determinati a rappresentare una riflessione postmoderna sul senso del mondo, dell’uomo, del lavoro, della trasformazione urbana. Convivium di riflessioni sul senso dell’esistenza.
Legàmi in-dissolti di Marta Vezzoli - Francesca Porreca
view photos
Marta Vezzoli. Legami in-dissolti Pavia, Spazio per le Arti contemporanee del Broletto 25 febbraio – 11 marzo 2012 Inaugurazione con performance e videoinstallazione realizzate con Terremototeatro e Antitesi Sonore.
Lo Spazio per le Arti contemporanee del Broletto di Pavia presenta la personale di Marta Vezzoli dedicata alla serie di opere intitolate “Legàmi in-dissolti”, oggetto nel novembre scorso di una esposizione presso la Galerie de l’Europe di Parigi. Al centro dell’attenzione, la produzione recente dell’artista, incentrata sui legami, intesi sia come sperimentazione e contaminazione di tecniche differenti – la scultura, terreno creativo primario dell’artista, e la pittura, caratterizzata dal segno astratto, cucite insieme nel senso più vero del termine – sia come terreno di indagine poetica sulle relazioni tra l’individuo e ciò che lo circonda.
La trama che compare e scompare all’interno di queste opere riannoda i fili di una ricerca attenta al colore e alle sensazioni che suscita, all’alternanza di pieni e vuoti, di trasparenze e di ombre riflesse; un filo di Arianna sembra distendersi tra installazioni, quadri e sculture e consente di avventurarsi nel labirinto dell’arte senza timore di perdersi, stimolando la voglia di approfondire il racconto che si snoda sotto i nostri occhi.
La linea sintetica che caratterizza le sculture di Marta Vezzoli trova corrispondenza nelle forme primarie ed essenziali che compaiono nella pittura, accese dal colore, di grande forza poetica. Le atmosfere “liquide”, sospese tra sogno e realtà risultano poi amplificate dai materiali “poveri” ma ricchi di storia attraverso cui l’artista parla di sé. Gli elementi cuciti, ricorrenti sia nelle installazioni che nelle opere pittoriche, contribuiscono inoltre a proiettare forme e colori al di fuori della superficie, dimostrando un’originale attenzione per una pratica tradizionalmente legata all’universo femminile e alla perseveranza di stringere legami con linee sottili.
Grazie alla sapiente scelta dei materiali – la iuta, il ferro, il sughero, i diversi tessuti -, queste opere complesse esprimono una capacità comunicativa immediata, un senso di attesa e di ricerca che è al tempo stesso urgente e paziente, come lo sono sempre i legami importanti della vita. (Francesca Porreca, curatrice dei Musei Civici di Pavia)
il senso della mia ricerca artistica, fra Arte e Arteterapia - Marta Vezzoli
Arte come riflessione intimistica sul senso dell’esistenza
Il mio percorso artistico si è sviluppato, a partire dallo studio e dall’interpretazione di architetture antiche e moderne, con particolare attenzione alle fabbriche dismesse, di cui ho osservato soprattutto strutture, linee ed ingranaggi – paragonabili a enormi sculture – che gradualmente venivano riconquistate dalla forza e dalla caparbietà della natura.
Affascinata da questa relazione fra struttura e natura ho cercato di analizzare e interpretare l’incontro di tali entità, realizzando opere con pietre morbide e ferro, materiali che mi hanno permesso di creare forme primarie e sintetiche che, attraverso segni, graffi e volumi, tendono verso l’essenza.
Quasi uno scarnificare, un togliere ciò che c’è in eccesso: dal pieno al vuoto, dal superfluo all’essenziale, dalla superficie verso la profondità. Le sculture in ferro – disegni tridimensionali che dialogano con lo spazio attraverso ombre proiettate e la possibilità di essere spostate e di prendere ogni volta nuove forme e prospettive non avendo un vero e unico punto d’appoggio- divengono la metafora di una riflessione sul senso del tempo e dell’esistenza.
Nei lavori pittorici e nelle installazioni ho rivissuto dapprima la poetica dell’archeologia industriale fino ad approdare, nelle opere recenti, a riflessioni più intimistiche: spazi ricercati, trovati, occupati. Incontri, relazioni, legàmi.
Elementi in contrasto che necessariamente cercano e trovano possibilità di incontro: Gli elementi dell’esistenza appunto, coi suoi contrasti e i suoi conflitti.
Alternanza di pieni e vuoti, di trasparenze e di ombre riflesse.
Ecco allora che la mia ricerca artistica è andata sempre più sviluppandosi verso il tema dei Legàmi: Legàmi quali risultato di pensieri, di esperienze, di incontri.
Alla base della ricerca rimane l’idea del confronto/incontro fra ciò che era e ciò che è, della trasformazione , del tempo che con il suo implacabile procedere modifica e agisce.
Il mio lavoro di arteterapeuta – in particolare nel campo delle devianze e dei deficit mentali – è divenuto sempre più significativo in tale ricerca, insinuandosi fra le trame delle tele e del ferro per divenire parte integrante delle opere.
Come arte terapeuta lavoro a stretto contatto col disagio, in situazioni in cui è possibile cogliere in modo netto e concreto il senso del limite: limite di spazi, tempi e di libertà nel carcere; limite fisico e cognitivo con gli anziani; limiti psichici e di pensiero con psichiatrici e deficit mentali.
Cos’è allora questo limite? Quali i legami con le sue origini? Quale il senso che ogni volta può acquistare tale limite? E quindi quale proiezione possibile verso il futuro?
Legami con la vita, legami col passato e con ciò che di questo passato rimane nel presente.
Legami con un presente che è condito di insicurezze e fragilità.
Legami con un futuro che in parte è solo incognita e in parte assoluta certezza.
Il tempo con i suoi tanti tempi.
Ecco allora che attraverso il mio lavoro artistico rifletto sul tempo, sul valore del tempo. Il tempo trascorso, il tempo presente e il futuro.
Attesa.
L’attesa (e l’urgenza)della vita e l’attesa (paziente)della morte.
Azioni rapide e urgenti si intrecciano allora ad azioni più lente e pazienti:
il cucito.
Cucire come possibilità di recuperare un gesto quotidiano, antico, concreto: tenere insieme, aggiustare, dare forma.
Azioni lente che segnano il ritmo delle riflessioni. Riflessioni che seguono il ritmo del cucito.
Nella mia ricerca artistica è sempre viva l’attenzione al “diverso” e alle varie sfumature della società. L’incontro con l’Altro, con diverse culture, diverse esistenze, diverse possibilità.
Contaminazione di linguaggi.
Cucio per non perdermi. Cucio per non perdere.
Tessuti leggeri e trasparenti. Bianco su bianco. Tessuti lievi e delicati.
Tessuti più pesanti, consistenti, spessi, le cui trame si intrecciano con le trame del mio cucire.
Ferro che diviene filo, traccia che si unisce e si intreccia ad altre tracce.
Oltre il limite.
Oltre un tempo che non può essere definito se non attraverso l’azione che si ripete, che infonde sicurezza, che scandisce
i pensieri , che permette di dare un nuovo senso al tutto.
Ritrovata certezza. Ritrovata instabilità. Nuova ricerca.
Marta Vezzoli. Berlino, luglio 2012
Le forme delle cose nel recente ciclo pittorico di Marta Vezzoli - Mauro Corradini
È stato Merleau-Ponty a ricordarci le coordinate della scienza della pittura, quella scienza esatta “che non si esprime a parole”, in quanto visibile e comprensibile solo attraverso “opere che esistono nel visibile alla maniera delle cose naturali”; è la scienza pittorica, scienza silenziosa, che trasferisce nel segno, nella tela, le forme delle cose “non disvelate”, come scriveva un secolo fa, o poco meno, Rainer Maria Rilke a proposito di Rodin.
Dire con la pittura, e solo con essa, rende difficile il compito alla parola: se seguiamo in questo breve ciclo (sono le ultime pagine di un libro, per la maggior parte, ancora tutto da scrivere: ma Marta è giovane, ha tanto tempo davanti per scriverlo tutto e magari anche per contraddirne qualche parte) la giovane pittrice, che è approdata da subito alle forme astratte, non possiamo che porci la contraddittoria relazione tra la parola e il segno, l’incontro-scontro tra grafica e scoperta linguistica, la seconda tesa a rivelare e spiegare, la prima tesa a sua volta a svelare le forme vere delle cose con una metodologia lontana dalla lingua verbale. C’è forse un solo acino d’uva dipinto, uguale ad un acino vero? e tuttavia c’è forse qualcuno capace di negare che gli acini di Caravaggio che intravediamo nel carico dorato della sua fiscella non sia davvero uva, come quella che possiamo cogliere a settembre, nei nostri vigneti?
Marta Vezzoli, con i suoi segni, le sue sedimentazioni, le sue tracce così lievi e così sicure, abbandonato il rigore della geometria che ha utilizzato all’inizio di questo percorso, ha assunto l’andamento ritmico dell’animo; cerca il sogno (“cercava l’alba” il torero di Lorca); con le sue forme, Marta cerca l’impossibile riduzione dell’attimo all’eternità della vita sognata, uguale solo a se stessa e per questo immutabile, eterna: “legàmi”, “oltre”, “respiro d’in-finito” sono i titoli di un percorso interiore, che descrivono questa lotta invisibile, per dare forma al sogno, alle emozioni e ai turbamenti del sogno. Ma non vuole raccontarle. Cerca riuscendoci di tradurle in segni, colori, materie, incontro di linee e andamenti spontanei della mano, vuole trascrivere l’universo del sogno in colori lievi che si accompagnano meglio ai sussulti dell’animo.
Le superfici della pittrice appaiono come frammenti di muro, scampati per avventura al crollo dell’intera parete; è rimasto un particolare che raccoglie l’incontro tra elementi diversi, il lineare con il tondeggiante, il morbido con il rigido, la nettezza definita con l’apertura a quell’oltre non finito, che è l’imperfezione e l’aspirazione, il luogo limite e la meta, l’approdo possibile e il bisogno di pausa che impaurisce nel suo frenare.
La superficie di Marta è quest’incontro di elementi in contrasto, che solo la pittura sa armonizzare, ad iniziare dai colori, che hanno tutti un sapore privato, intimo in una certa misura, come tirati su dal profondo; come se su ogni traccia emergesse la tensione all’unità, l’immagine tende a tradurre il tutto come ordine, misura; la pittura fa sì che il disordinato e caotico fluire dei pensieri trovi sulla superficie della tela quel ritmo che consente all’ombra interna di apparire. La realtà della realtà può essere astratta.
La pittura non vuole risolvere i problemi del mondo, ma si accontenta, cercando, di trovare una misura che possa costituire il punto fermo da cui partire per leggere le sensazioni di tenerezza che attraversano lo sguardo interiore, mentre l’autrice lavora sulla tela. Operazione a parte, rispetto alla vita, si dirà. E probabilmente è proprio così: perché è nel colloquio spontaneo o almeno pre razionale tra mano e pagina bianca, che emergono le tracce lievi, i nuclei, di quelle “cose” che solo la pittura può svelare e che stanno dentro di noi; non ciò che ci circonda e tutti conosciamo. Ma quelle struggenti malinconie o quegli scoppi di improvvisa felicità di cuore che non hanno una ragione razionale; con la consapevolezza, a poco a poco acquisita, che non è necessario essere razionali per comprendere le forme delle cose che ci circondano.
Per scoprire alla fine che è facile, di tanto in tanto, varcare quel confine imprecisabile tra sogno e vita – è l’autrice che ci suggerisce le parole – così consistente e così labile, così netto e preciso e così facilmente valicabile, se solo si lascia che l’immaginazione prenda possesso del nostro gesto. E tutto ritorna in ordine, segno, linea, misura, colori che sanno di pastello e di interna serenità; perché questa è la natura delle cose di Marta e la verità di quel vivere che anch’ella cerca di affermare e mostrare, tracciando segni liberati sul bianco foglio.
I segni di - Marta Mauro Corradini
From the catalogue: “APOKALYPSIS BLU-ES” by Mauro Corradini Page 6
“….From more than different Marta’s signs: projection over the infinite, as a necessity….. Marta does not write a diary on the other hand, it comes from plastic oeuvres that she produced over her artistic career…. Marta searches the infinite breathe, with abstract shapes….Marta’s art has a double dimension of signs and colors on a direct and strong clue that comes from the sign and the movement of colors in order to build up an emotional sensation; as both reason and emotion, Apollonian and Dionysiac, two dimensions of our being in the world, try a difficult coexistence. With energy and wonder, with coherency of a limit constantly reminded and overcome, like art itself would try, on its own, the difficult oxymoron of complete in-finite, rigorous and rational contrast and coexist with imaginative and emotional. Difficult oeuvres…..”.